Dante entra nel cerchio dei lussuriosi, un peccato che sentirà molto vicino alla propria esperienza. Li vede travolti da un vento che non concede pace, come il desiderio che li ha dominati in vita.
Ascolta la storia di Paolo e Francesca, piange, non può non scorgere quanto fragile diventi l’uomo quando celebra la passione al di sopra di tutto.
Sui social, poi, si aggirano personaggi in perenne ricerca dell’ennesimo like allusivo, di un ulteriore messaggio ambiguo, convinti che l’amore sia solo una vetrina.
C’è una competizione silenziosa: chi accumula più storie, più avventure usa e getta, più “esperienze”, solo costui viene considerato figo, moderno. Come se il cuore fosse una collezione da riempire, un albun da completare per sentirsi meno soli. I media, poi, ci mettono il resto: ci dicono che amare davvero è roba da sfigati, che la fedeltà è un vincolo antiquato, la profondità è noiosa, il rispetto è facoltativo.
E così finiamo trascinati anche noi da un vento che non dà tregua.
Solo che, a differenza di Paolo e Francesca, non abbiamo nemmeno più il coraggio di chiamarlo amore.
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