lunedì 8 dicembre 2025

SE I PARTITI ITALIANI FOSSERO OPERE LETTERARIE

 Sia ben chiaro, la scelta di Fratelli d’Italia di chiamare la propria kermesse giovanile “Atreju” è affascinante, ma si poteva fare di meglio. Il personaggio di Atreju, protagonista del romanzo “La storia infinita”, combatteva contro il Nulla, ma in politica spesso il problema non è tale mancanza assoluta, ma il suo opposto, l’eccesso di retorica, promesse, esteriorità vana.

Quindi vado in soccorso degli uffici stampa dei partiti italiani e suggerisco loro come trovare una nuova identità letteraria, magari davvero onesta, calzante e decisamente ironica.
Ecco come ribattezzerei le loro convention, attingendo ai grandi classici: vediamo come sarebbero i maggiori politici italiani se svolgessero la propria attività nelle opere letterarie.





Fratelli d'Italia: Dottor Jekyll e del Mr Hyde
Iniziamo proprio con il partito leader e con un duplice personaggio ispirato al romano di Stevenson. Già, perché da un lato abbiamo la Premier in posa istituzionale, con idee atlantiste, che rassicura i mercati, dialoga con la Von der Leyen, con diversi leader stranieri e firma patti di stabilità in puro stile moderato. Dall'altro, nell’oscurità della notte, ecco spuntare l'anima di lotta che in realtà guarda al passato e “vorrebbe riscrivere la storia”. Militanti che urlano nei comizi spagnoli di Vox, vedeno complotti "gender" nelle scuole di ogni ordine e grado, occupano la RAI, portano avanti commenti di intolleranza nelle proprie chat private e innalzano saluti romani nelle sezioni giovanili. Al(la) protagonista non resta che circondarsi di parenti per ricevere un aiuto, sperando che la trasformazione sua o di qualche suo rappresentante non avvenga in diretta TV, svelando il vero volto inquietante e forse amato da una base che applaude Jekyll, ma in realtà vota per l’Hyde che si credeva scomparto da circa 80 anni.  


Partito Democratico: Amleto
Il personaggio di Shakespeare sembra perfetto per un partito il cui motore eterno e immobile è il dubbio. "Essere o non essere? (davvero di sinistra?)”; “Campo largo o vocazione maggioritaria?” “Avvicinarsi o meno al centro?". Come sede il castello gigantesco e freddo di Elsinore (il Nazareno), pieno di fantasmi del passato che si rivoltano contro i discendenti/esponenti di oggi o che sussurrano in direzioni opposte. Elly Schlein, vestita di nero esistenziale, cammina avanti e indietro sul palco tenendo in mano non un teschio, ma il simbolo del partito, o di quel che ne resta. Come il principe di Danimarca, tra l’altro, tutti avvertono l’imminenza di un tradimento, con uno “Zio Claudio” di turno che trama nell’ombra. La tragedia del PD è l'inazione. Tutti sanno che c'è del marcio in Danimarca (il Paese ha problemi), ma il Principe prende tempo. Convoca una direzione. Poi un'assemblea. Poi una costituente. Mentre Amleto dubita, dietro le tende di velluto (le famigerate e temute "correnti"), Polonio, Laerte e Claudio si stanno già accoltellando a vicenda per una candidatura alle regionali, alle europee o in vista delle politiche. La kermesse finisce sempre allo stesso modo: il palco è pieno di corpi politici caduti ("bruciati"), e arriva un Fortinbras straniero (la destra) a prendersi il regno senza aver dovuto nemmeno sguainare la spada.  


Movimento 5 Stelle: Il castello dei destini incrociati
Calvino
offre il paragone ideale per un gruppo di viandanti che, una volta entrati nel Palazzo, sembrano aver perso la parola, dato non possono più urlare "Vaffa" nelle piazze perché ora indossano la cravatta. Sono costretti a raccontare la loro storia usando i Tarocchi, quel linguaggio politichese che in passato avevano sempre abiurato. Naturalmente, come nell’opera, il significato muta continuamente e ogni singola storia cambia in base a chi la racconta: le carte del "Cambiamento" e del "Reddito" assumono un valore opposto a seconda che si incrocino con la carta "Lega" (Conte I), quella "PD" (Conte II), col "Banchiere" (Draghi). Esce poi la carta del Bagatto (Il Mago): nel 2013 significava Beppe Grillo, oggi è Giuseppe Conte che fa giochi di prestigio con le percentuali. Esce la carta della Torre: un tempo era la distruzione della "Casta", oggi è la ristrutturazione col Superbonus 110%. Esce l'Impiccato: è il limite dei due mandati, magari con la formula del "mandato 0" che tiene appesi per i piedi i veterani del partito. Giuseppe Conte siede a capotavola e prova a interpretare queste carte per dare un senso logico alla storia. "Vedete," dice indicando tre carte a caso, "l'alleanza con la Lega e poi quella col PD erano parte dello stesso destino!". Nessuno ci crede, ma gli ospiti sono muti e annuiscono.

È una narrazione combinatoria eterna: puoi rimescolare le carte (o i principi fondanti) all'infinito, sperando che esca la combinazione vincente che li riporti al 30%. Ma dal mazzo continuano a uscire solo due di picche. 


  Lega: Moby Dick
Qui la metafora con l’opera di Melville si scrive da sola. Al timone della nave c'è il Capitano Salvini, zoppicante come i suoi decreti e divorato da un'unica, cieca ossessione: ritrovare la leggendaria Balena Bianca (il 34% delle Europee 2019); l’ha vista, quasi toccata, e ora la sogna da sempre. Per inseguire questo mostro mitologico che ormai vive solo nei ricordi, il Capitano costringe la ciurma a una navigazione folle, cambiando rotta ogni giorno a seconda del vento dei social. La differenza con il libro è che questo Ahab, in preda al panico da sondaggio, non lancia l'arpione solo contro la balena: lo lancia contro qualsiasi cosa si muova in acqua. Un giorno arpiona gli autovelox, il giorno dopo la farina di grillo, poi i monopattini, quindi gli immigrati, ancora il CBD, infine i giudici.
Il primo ufficiale Starbuck
(Luca Zaia) e il secondo ufficiale Stubb (Massimiliano Fedriga) si scambiano sguardi preoccupati. Sanno che la Balena è andata, migrata in altri mari (verso Fratelli d'Italia). Vorrebbero tornare a caccia di prede più semplici e sicure (l'Autonomia), ma il Capitano è impazzito. Ordina di lanciare arpioni contro tutto ciò che vede o di imbarcare chiunque, persino il Generale Vannacci,  o magari vorrebbe attraccare la sua nave sotto il Ponte sullo Stretto.  L'equipaggio continua a remare per inerzia, terrorizzato dal momento in cui il Capitano, nel tentativo finale di colpire la Balena, trascinerà l'intera nave negli abissi dell'irrilevanza politica. 


Forza Italia: Il fu Mattia Pascal
Niente di meglio di Pirandello per la storia di un'entità che è ufficialmente "passata a miglior vita" (politicamente, con la scomparsa del fondatore), ma che cerca di costruirsi una nuova identità con il nome di "Adriano Meis" (o Antonio Tajani). La manifestazione surreale di un partito che vive nel limbo: vorrebbe essere libero dall'ombra ingombrante del passato per rifarsi una vita, ma scopre che senza quel "documento d'identità" (il nome Berlusconi nel simbolo) non esiste socialmente. I leader attuali vorrebbero ricominciare una nuova esistenza, ma non ci riescono.
I vecchi congiunti (alleati) si sono rifatti una nuova vita, per cui gli attuali esponenti, citando l’opera del premio Nobel, “chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s'aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d'accordo, e tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa”. 


Italia Viva: Il Grande Gatsby
L’opera di Fitzgerald ci proietta l’immagine perfetta per il partito dello scintillio, del lusso e dell'ottimismo americano, dove tutto sembra possibile, tranne superare la soglia di sbarramento. Matteo Renzi è il perfetto Jay Gatsby: un self-made man carismatico e misterioso, con un passato in giro per il mondo (magari per qualche conferenza) che organizza feste sontuose — la Leopolda come la villa a West Egg — piene di luci, slide e jazz, sperando di attirare l'attenzione. 
                                                                                 

Ma cosa guarda davvero Renzi dal molo della sua solitudine dorata? Fissa incantato una luce verde lontana e irraggiungibile: non l'amore di Daisy, ma il 40% del 2014. Il suo dramma è racchiuso nella frase simbolo del libro: "Non si può ripetere il passato? Ma certo che si può!". Lui ne è convinto. Peccato che, come nel romanzo, alle sue feste tutti bevano volentieri il suo champagne (approfittando delle sue manovre di palazzo), ma quando la musica finisce e le luci si spengono, alle urne non rimane nessuno. Nemmeno Nick Carraway


Azione: Il Galateo
Come Monsignor Giovanni Della Casa, anche Calenda vuole insegnarci qualcosa: come governare un Paese di scostumati che non studiano. Qui si combatte contro i congiuntivi sbagliati, le coperture finanziarie assenti e il populismo sguaiato di chi mangia con le mani (metaforicamente e non). La kermesse si basa su regole rigidissime: non si può dire "voglio andare in pensione prima", è scortese verso l'INPS; non si può dire "il nucleare mi fa paura", è da villani antiscientifici; se un elettore fa una domanda provocatoria, il Monsignore non risponde: lo blocca, perché il blocco su Twitter è l'equivalente moderno dello schiaffo con il guanto di velluto.  

Calenda spiega perfettamente come si apparecchia la tavola della democrazia: dove va la forchetta della Sanità, quale bicchiere usare per l'Istruzione, come non fare rumore mentre si gestisce il PNRR. Il problema è che, a furia di rimproverare i commensali perché masticano male o hanno i gomiti sul tavolo, alla fine resta a cenare da solo. La manifestazione si chiude con lui seduto a capotavola, in una sala vuota ma elegantissima, che mormora: "Gli altri partiti vinceranno anche le elezioni, ma vuoi mettere la soddisfazione di avere ragione?"  


Alleanza Verdi e Sinistra: Don Chisciotte della Mancia
 Cervantes ci guida tra lance e armature arrugginite. La festa del popolo ideale per chi vede giganti fascisti e mostri capitalisti anche dove ci sono solo banali mulini a vento. Una saga cavalleresca dove il nobile ideale si scontra costantemente con la goffaggine della realtà, cavalcando un ronzino (la percentuale elettorale) che fatica a reggere il peso di tutte quelle battaglie etiche lanciate contemporaneamente, con molta poca attenzione per il mondo e i problemi concreti. E dove Sancio Panza cerca disperatamente di spiegare che la "transizione ecologica" non si paga con le buone intenzioni.

Il mondo continua ad essere guardato non com’è, ma come dovrebbe essere, e tutto ciò può anche essere romantico, ma resta molto poco pragmatico. Né il Don né AVS si arrendono mai; stremati, ignorati, derisi, ripartono con la convinzione che la prossima carica sarà quella buona, verso un “Sol dell’Avvenire” che forse, ormai, è alle spalle. 


+Europa: Aspettando Godot

I leader del partito, così come i personaggi di Beckett, aspettano. Attendono il Federalismo Europeo, la Ragione che trionfa sul populismo, il momento in cui gli italiani inizieranno a votare leggendo i dossier per un liberalismo senza regole e confini. Un’attesa infinita, un dramma in due atti. Nel primo i protagonisti passano il tempo in discussioni intellettuali elevatissime. I loro ragionamenti sono complicati, non destinati alle masse. Difatti, intorno a loro il pubblico non c'è, o se c'è non capisce. Passano altri personaggi (Pozzo e Lucky, forse Calenda e Renzi?), fanno un gran baccano, si scambiano insulti, promettono rivoluzioni, cadono e si rialzano. Didi e Gogo li guardano con un misto di compassione e orrore: "Sono così poco europei", sussurrano, aggiustandosi la bombetta. Nel secondo atto, per ingannare l'attesa, i protagonisti provano a fare ginnastica: cambiano nome alla lista. Prima "+Europa", poi "Stati Uniti d'Europa", poi "Per l'Europa con...". 

Sembra che si stiano muovendo, che stiano costruendo qualcosa di nuovo. Ma quando la polvere si posa, sono esattamente nello stesso punto: sotto l'albero del 3,9%, a chiedersi se questa volta l’alleanza reggerà o si spezzerà all'ultimo minuto. Alla fine c'è solo l'eterna attesa di un futuro radioso che è sempre a portata di mano, ma che scivola via ad ogni scrutinio, con i protagonisti che dicono sempre di voler andare via ma alla fine devono restare aggrappati a chi può farli entrare in Parlamento. 


Noi Moderati: L'uomo invisibile
Questa non è una festa di partito, è un fenomeno paranormale. La manifestazione si tiene in una sala conferenze apparentemente vuota. Le sedie sembrano libere, i corridoi deserti. Eppure, se si tende l'orecchio, si sentono fruscii, colpi di tosse discreti e il rumore di fogli che si spostano: sono loro. Sono i Moderati. Come nel romanzo di Wells, il leader Maurizio Lupi (lo scienziato Griffin) ha tentato l'esperimento chimico definitivo: fondere insieme particelle subatomiche della politica (l'UdC, Coraggio Italia, Italia al Centro, un pezzo di Toti, un frammento di Brugnaro) per creare una "Cosa" solida. Il risultato, però, è stato un effetto collaterale imprevisto: il partito è diventato trasparente. Ci sono, votano, sostengono il governo, ma l'occhio umano (e quello dei sondaggisti) li attraversa senza riuscire a metterli a fuoco. Nel libro, l'Uomo Invisibile deve coprirsi di bende, indossare occhiali scuri, guanti e cappotto pesante solo per essere percepito dagli altri. 

Allo stesso modo, Noi Moderati per essere visto deve necessariamente avvolgersi in "strati" che non gli appartengono del tutto: deve indossare il cappotto della Coalizione di Centrodestra, mettersi il cappello di Giorgia Meloni e usare i guanti di Forza Italia. Se si togliessero questi accessori (l'alleanza), se restassero "nudi" davanti all'elettorato, di loro non si vedrebbe più nulla. Svanirebbero nell'aria rarefatta dello "zero virgola". La scena finale si chiude con un momento di alta tensione drammatica, degna del finale del libro. Il leader sale sul palco, il microfono si alza da solo a mezz'aria (poiché la mano che lo regge è invisibile) e urla alla platea: "Noi contiamo! Noi siamo decisivi! Noi siamo il centro!" Dalla sala parte un applauso scrosciante. Ma le telecamere del TG inquadrano la stanza e, vedendo solo sedie vuote, decidono di mandare in onda un servizio sul meteo. 

Insomma, Giorgia Meloni ha voluto scomodare Michael Ende, ma forse ha dimenticato la lezione più importante del libro.

Nella Storia Infinita, il "Nulla" divorava il regno di Fantàsia perché gli esseri umani avevano smesso di sognare e di credere. Guardando questa nostra libreria politica, tra nobili decaduti, cavalieri che caricano mulini a vento, narcisisti solitari e fantasmi in cerca d'autore, la metafora purtroppo regge benissimo.

Solo che qui il "Nulla" non è un mostro astratto: è l'astensionismo. E di fronte a una trama così confusa, ripetitiva e piena di buchi di sceneggiatura, il vero miracolo non è che la storia sia infinita. Il miracolo è che ci sia ancora qualcuno, fuori dal Palazzo, che ha voglia di comprarne una copia.

 E voi? Quale di questi "capolavori" lascereste volentieri a prendere polvere sullo scaffale?



Nessun commento:

Posta un commento