Esistono i cosiddetti “minori” (che bruttissima espressione), mai molto facili da inquadrare, ma di
Sono autori che magari conoscete, che forse avete anche studiato a scuola (ma
non più di tanto); ciò che li contraddistingue, oltre a qualche eccentricità
nelle loro opere o nella biografia, è la relativa marginalità, come se
fossero stati messi da parte perché considerati poco ortodossi.
Un tipo davvero eccentrico. Esperto di astrologia, letteratura misteriosa,
medicina, occultista ed eretico, al punto da essere arso vivo per la sua
produzione. In particolar modo gli costò cara la stesura de l’Acerba opera di carattere enciclopedico
(genere diffuso in Toscana allora) che aveva come obiettivo la descrizione del
mondo vero, tangibile, quello che circonda la nostra esistenza acerba,
contrapposta a quella ultraterrena matura; il suo obiettivo era didattico, ma
ben circoscritto; non voleva affatto spingersi oltre la realtà, come invece
aveva fatto Dante con la sua Commedia. Il problema fu che nella sua analisi,
libera e ispirata anche da autori non proprio ben visti dalla Chiesa (anche
perché mussulmani), percorse vie precluse dall’Inquisizione. La tradizione
vuole che Cecco, mentre bruciava sul rogo, continuò a ripetere “L’ho detto,
l’ho insegnato, lo credo!”, affatto deciso ad arrendersi fino all’ultimo.
di nascita) ha un qualcosa di curioso ed ironico, ed in effetti non può essere
considerato altrimenti questo autore fiorentino, di solito appena accennato
quando si passano in rassegna i cosiddetti scrittori comico-parodici. Lo
potremmo definire, scherzando un po’ con il linguaggio moderno, un troll. La
sua opera più famosa, Risposta per
contrari, appartiene al genere occitano dell’enueg, caratterizzato da elenchi
di disgrazie e sventure, ma lo spunto venne da un’opera di FOLGORE DI SAN
GIMIGNANO, autore di un plazer (Sonetti
de’ mesi), nel quale attribuiva ad ogni mese una gioia, un piacere. Cenne,
per parodiarlo, ma soprattutto per ironizzare sulla realtà cortese declinante
in quel periodo, attribuì invece ad ogni mese una sventura, un fastidio,
tratteggiando così un mondo affatto gioioso.
meglio noto (o almeno, scolasticamente, praticamente ignoto) con il soprannome
derivato dalla sua città natale, Palermo. E dire che la sua presenza a Napoli
fu tutt’altro che trascurabile, dato che si deve a lui la fondazione di quella
che sarà poi nota come “Accademia Pontaniana”. In cosa sta la particolarità
dell’autore, oltre che nel nome? Più che altro nell’opera Hermaphroditus, raccolta di epigrammi osceni, ai limiti di quella
che oggi sarebbe definita pornografia. Forse è dovuto a ciò il silenzio su di
lui? Eppure venne onorato dalle più importanti famiglie dell’epoca (Aragona,
Visconti, Medici), dedicando tra l’altro la sua raccolta all’iniziatore della
signoria medicea, Cosimo.
[1404-1449]
buoni rapporti con tale famiglia Domenico di Giovanni, passato poi alla storia
con il soprannome di Burchiello, derivato da un’espressione che rimanda allo
gettare le merci a caso, in modo confuso; allo stesso modo si presentano le sue
poesie, in realtà consapevolmente caratterizzate da storpiature linguistiche e
formali. I suoi sonetti parodiano la tradizione toscana, l’umanesimo, il
petrarchismo, e non esprimono alcuna fede per il valore della parola, per la
filosofia platonica allora molto in voga. Ma, così facendo, mettevano in dubbio
le basi culturali sulle quali si basava la notorietà dei Medici, ancora agli
inizi della signoria, per cui desiderosi di farsi accettare politicamente e letterariamente.
Venne dunque esiliato da Firenze, ma i guai non lo abbandonarono fino alla
morte. Celebre il sonetto caudato Nominativi
fritti, e mappamondi, spesso assegnato da imparare a memoria, ma senza che
si presti la dovuta attenzione al valore connotativo trasmesso, ben più
complesso di quello denotativo burlesco, come accennato sopra.
DA PORTO [1485-1529]
dalla vita avventurosa, di certo non mancavano le occasioni per combattere in
nome di amore o ideali nell’Italia di quel periodo, stravolta dalle invasioni
dei grandi stati nazionali. Ma, proprio durante una pausa che Luigi dovette
concedersi per una ferita, scrisse Historia nuovamente ritrovata di due
nobili amanti, novella con protagonisti due giovani veronesi, Romeo e
Giulietta, divisi dall’odio delle rispettive famiglie, ma uniti da un amore
impossibile, terminato poi in tragedia. Vi ricorda forse qualcosa? L’ispirazione
alla base della storia non è stata ancora decodificata fino in fondo: c’è un
chiaro riferimento ad una novella di Masuccio Salernitano, ma forse potrebbe
aver inciso anche un’esperienza diretta del Da Porto, come detto prima affatto
estraneo a questioni di armi ed amori.
ignorato dai manuali e dai programmi, ma forse conosciuto più che altro per
essere fratello di Gasparo, fondatore della Gazzetta veneta. Eppure Carlo ebbe
un’educazione molto particolare, basata soprattutto su studi non formali. Si
appassionò a quello che viene definito il filone anti-classicista (Folengo,
Ruzzante, Aretino, Pulci), e le sue opere non mancarono mai di
contraddistinguersi per una forte carica comica, presente persino nelle
tragedie. Oppositore di Goldoni e della sua riforma teatrale (considerata
esterofila o comunque non in linea con la tradizione italica) scrisse delle
fiabe teatrali dominate da elementi mitici, soprannaturali, magici, al punto da
risultare troppo innovative per l’epoca. Saranno apprezzate, infatti, soprattutto
durante il romanticismo; paradossalmente il difensore della tradizione divenne
uno dei più grandi precursori culturali della sua era.
7) VINCENZO MONTI [1754-1828]
direte voi.
Certo, eppure non studiato più di tanto, se non per la sua traduzione
dell’Iliade. Ma ciò che rende particolare la vicenda del poeta di origini
ravennati fu il suo incredibile trasformismo, forse da far studiare proprio in
tempi come i nostri, caratterizzati da pennivendoli e voltagabbana. Il caro
Vincenzo fu capace di passare da una fazione all’altra, sempre in cerca di
salvezza: esaltatore della Roma classica di Pio VI nella Prosopopea di Pericle,
illuminista con l’odo al Signor di Montgolfier, anti-rivoluzionario con la
Bassvilliana, napoleonico con il Caio Gracco e La spada di Federico II, reazionario
con Il ritorno di Astrea.
Insomma, andava lì dove lo portava la convenienza.
8) GUIDO GOZZANO [1883-1916]
malato: un perfetto crepuscolare, ed infatti così viene studiato. Ma cosa c’è,
allora, di tanto strano in lui? La particolarità è proprio nel mondo di
interpretare la crisi di valori sociali ed intellettuali messa in luce dai
crepuscolari. Mentre altri esponenti della corrente (che però non fu mai una
scuola) scelsero la via della disperazione, della poesia umile e modesta,
simbolo della decadenza personale e collettiva, Gozzano usò l’arma più potente:
l’ironia. Le sue opere testimoniano la crisi, ma lo fanno citando la tradizione
in modo buffo, stravolgendo la forma, destrutturando ciò che ha sempre
innalzato la poesia. In particolare l’ironia caratterizza la raccolta poetica I
colloqui, come ad esempio risulta evidente
dal poemetto La signorina Felicita ovvero
la Felicità, ove è descritta una storia d’amore apparentemente tradizionale
e borghese, ma in realtà segnata fin dall’inizio dall'impossibilità di un
finale sereno, proprio a causa dell’inutilità del presente, della scomparsa dei
valori dominanti di un passato nei quali gli autori potevano rispecchiarsi.
Un’opera ed un autore, dunque, molto più complessi di come vengono proposti di
solito.
9) GIAN PIETRO LUCINI [1867-1914]
futurista, ma poi antimilitarista; ispirato dal Carducci, ma aperto alle
innovazioni; simbolista e decadente, ma al contempo anarchico e rivoluzionario.
Una personalità non facile da inquadrare, così come la sua produzione. Al
culmine della sua attività poetica (Revolverate)
divennero chiare le sue idee e le sue scelte: disprezzo per la morale borghese,
antimonarchico ed anti ecclesiastico, antimilitarista, rivoluzionario. Ecco,
quest’ultimo è il termine giusto. Dal punto di vista letterario furono rivoluzionarie
le sue scelte stilistiche (uno dei primi a servirsi del verso libero), mentre
dal punto di vista ideologico lo si può considerare il più “moderno” della sua
generazione: contrario alle guerre imperialiste, alle ipocrisie borghesi,
all’esaltazione di valori che non sono affatto tali, oppositore fiero della
prostituzione intellettuale. La consapevolezza che “Oggi è tempo di Satira!” risuona attuale più che mai.
10) EDOARDO SANGUINETI [1930-2010]
Concludiamo con un autore che, grazie al suo lavoro critico, è stato proprio
uno dei maggiori riscopritori dell’opera di Lucini. Sanguineti fece parte del
gruppo dei Novissimi e del Gruppo 63, orientati verso una letteratura
innovativa e rivoluzionaria; ne uscirà poi durante il ’68, soprattutto per la
sua volontà di portare la rivoluzione anche al di fuori dei libri, nella
società vera. La sua produzione fu incentrata sul tentativo di distruggere le
certezze illusorie del presente, partendo proprio da uno sconvolgimento
formale, operando sulla lingua come se essa fosse qualcosa di vivo, da
sconvolgere, in netto contrasto sia con i realisti che con gli ermetici. Laborintus,
Triperuno, Postkarten, sono
solo alcune delle opere dove questa carica rivoluzionaria è più evidente che
mai. Anche se negli ultimi anni si assistette ad una sorta di ripiegamento, ad
un ritorno nella fiducia rivoluzionaria confinata unicamente nella letteratura,
il suo pensiero ed il suo stile innovativo restano un esempio per le generazioni
future di poeti e romanzieri.